Tredici anni separano questo secondo capitolo dal primo, inaspettato e imbattuto successo. Nia Vardalos, regista, sceneggiatrice e interprete, ha atteso tanto per essere sicura di avere tra le mani un copione che fosse all'altezza del primo riscontro, o forse per esser certa che ne avessimo persa la memoria nel frattempo, e dunque la stessa formula e lo stesso cast potessero sembrarci freschi nonostante tutto. A livello di formula, in realtà, la Vardalos fa qualcosa di più, ovvero rincara la dose. La poetica di fondo, non proprio ultramoderna, è quella dell'accettazione con ironia: "la mia famiglia è schiacciante, io rischio di quando in quando di lasciarci le penne, ma almeno voi vi farete quattro risate", dice tra le righe la Toula dallo schermo. Tredici anni dopo, però, il suo personaggio non ha più a che fare soltanto con genitori e zii, ma anche con l'allargamento che ha contribuito a creare, e si ritrova così al posto del ripieno nell'illustrazione del fenomeno della cosiddetta Generazione Sandwich. La "passione" della protagonista, che subisce da una parte e dall'altra in nome della dipendenza patologica e della consuetudine etnografica, ne farebbe una seconda tragica figura fantozziana, se non fosse che, sotto sotto, nulla la minaccia direttamente e non c'è niente che non si possa risolvere con un po' di pacchiano ma sincero romanticismo…
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