Sembra di tornare ai tempi belli del cinema di Hong Kong dei '70 e '80, grezzo al limite dell'ignoranza ma dalla creatività inesauribile, quello che, con inequivocabile razzismo, talora metteva in scena gli inglesi (o gli occidentali in genere) come trogloditi dall'ignoranza ferina, di solito apostrofandoli come "diavoli". Immaginare qualcosa di simile mescolato a citazioni da nientemeno che Rocky IV non può che produrre risultati dal gusto ai limiti del trash, ma è anche di questa sana grevità che si nutre un progetto come quello della saga di Ip Man - maestro di Bruce Lee e reinventore dello stile di arti marziali Wing Chun - che giunge al secondo capitolo in un tripudio di duelli, risse ed esibizioni di abilità nelle arti marziali. E se i match della seconda metà del film tra il pugile inglese e i sifu di kung fu vanno visti nell'ottica succitata, la prima metà, incentrata sulla faticosa diffusione da parte di Ip Man del Wing Chun e dai duelli tra lui e gli altri maestri, appartiene allo stato dell'arte del genere…
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